Scritti Misti

Oscura Fortuna

Intorno al pozzo dei desideri infranti erano sbocciate le campanule. Le corolle erano sparse sulla terra segnata da una fila di impronte. Zampe di lupo, sparivano dentro ai cespugli e si perdevano nell’erba alta.

Luce afferrò la ramazza e cominciò a spazzare il vialetto dagli aghi di pino. Le pigne rotolavano sul selciato, producendo un fastidioso scalpiccio.

Uno scricchiolio la fece rabbrividire, strinse il manico della scopa e trattenne il respiro. Che sia lui? Che sia qui? Il cuore cominciò a batterle forte, ma non c’era nessuno in mezzo ai cespugli, niente occhi gialli, nessun baluginio di bianche zanne, né il graffiare di artigli amici. Solo il fruscio del vento sull’erba, che portava con sé il profumo pungente delle felci.

Lo stesso odore del mio amore perduto, sospirò e riprese a pulire il vialetto.

La luce del sole danzava sul bordo di pietra del pozzo e luccicava frammentata sul pelo dell’acqua. Giù, nelle viscere della terra, tutti i suoi desideri erano annegati, ridotti a zampe, zanne e nera pelliccia. Chissà se tornerai…

Dalle sue spalle si levò la voce di una donna. «Ma che fai ancora qua? È giorno di mercato, dovevi già essere via.» La matrigna le passò il cestino e le tolse la ramazza di mano. «Mi raccomando, prendi solo il pane e non trattenerti, che se torna il padrone e non ci sei, dieci frustate ti aspettano. E fai attenzione alla vecchia Fortuna, che è di mercato oggi.»

Luce annuì, andò a prendersi la mantella e, a passo svelto, imboccò la via di ghiaia che serpeggiava in mezzo al bosco: miglia e miglia di fitte chiome verdi e il profumo fresco dei pini che le pizzicava il naso.

Il mercato puzzava di pollame e formaggio, i paesani si accalcavano sulle bancarelle, nel tentativo di accaparrarsi il miglior prodotto al minor prezzo, le loro voci, una cacofonia variegata di dialetti. Luce strinse il cestino e passò davanti al banchetto del pescivendolo: una nuvola di mosche ronzanti si apriva e si chiudeva sul pesce in esposizione. Marcio, come l’anima del padrone, fetido come il suo alito su di lei, viscido quanto le sue mani strette sui fianchi, ora sulle spalle. Un nodo le strinse la gola, Luce alzò il passo, il fornaio era proprio di fronte a lei, ancora qualche passo e-

«Non così in fretta, bambina.» Una mano unticcia la bloccò, le dita nodose e screpolate si chiusero strette intorno al suo polso. «Una moneta per un futuro benedetto dalla fortuna» disse con voce bassa e sfibrata la vecchia. La faccia pustolosa le si deformò in un ghigno tutto gengive. La strattonò. «Orsù, vieni, vieni al banchetto di Madama Fortuna, una moneta e ti mostrerò la felicità nascosta nel palmo della tua mano.»

Luce puntò i piedi e strinse il cestino. «Ma io sono già felice, Madama, la più felice del paese, ora non fatemi perdere tempo.» Il cuore cominciò a battere forte.

Madama Fortuna spalancò i grandi occhi azzurri, la sclera luccicava, piena di minuscoli capillari arrossati. «Oh, giovane bimba» sussurrò, toccandole il palmo della mano. «Vuoi tu, esprimere un desiderio ed essere felice per sempre? Niente più padroni, solo giorni belli.»

Quanti desideri aveva espresso in vita sua?Troppi, tutti andati in frantumi.

«Madama, mi lasci, ho detto che non ho tempo!»

Dieci frustate, non sarebbero bastate al padrone. Tirò via il braccio con forza.

La vecchia barcollò e si aggrappò al cestino, urlando: «Dammi! Dammi!»

Luce mollò la presa e Madama Fortuna cadde schiena a terra, il cestino tra le mani, la trafisse con lo sguardo, ghignando vittoriosa. «Mio, tutto mio» sibilò, aprì il cesto e la sua faccia si fece paonazza. Luce indietreggiò, un passo, due, ora tre. Un muro di curiosi le bloccò la fuga.

Madama Fortuna lanciò all’aria il cesto e cominciò a urlare, agitando le braccia. «Maledetta! Maledetto sia il tuo futuro!»

I paesani toccarono ferro e si grattarono un po’ ovunque.

«Dannata!» Madama Fortuna si alzò. «E sarai nera di sfortuna, portatrice di malasorte e di bare aperte! Che tu sia maledetta nel mio nome!»

Gli occhi di madama Fortuna scintillarono. Luce indietreggiò.

La folla di curiosi si aprì all’istante. Perché solo adesso? I loro sguardi stupefatti le piovevano addosso come sassi. Perché mi guardano così?

La faccia cominciò a pruderle e il naso a gocciolare.

Corse via, verso il sentiero di ghiaia. I muscoli le andavano a fuoco e la pelle le dava un prurito tremendo. Saltò su una radice, una fitta alla schiena le falciò il respirò.

Cosa mi sta succedendo? Le lacrime le annebbiarono la vista.

Il vento la spinse in alto, sempre più in alto.

Sto… volando?

Sotto di lei, le verdissime chiome degli alberi si estendevano a perdita d’occhio. Il fiumiciattolo che passava dietro casa era un minuscolo rigagnolo argentato.

Aprì la bocca per urlare, ma dalla sua gola fiorì un lungo gracchiare.

Un corvo? Ecco cos’era diventata. Ah, se avesse avuto le labbra, quanto avrebbe riso.

Aprì e chiuse le ali e prese la via del bosco. Anche se non aveva più un corpo umano,

riusciva ad amare lo stesso. Scese sul ramo di una quercia. Lì sotto, sdraiato tra le felci c’era Lupo, il manto nero luccicava colpito dai barbagli di luce del sole.

Luce frullò le ali e Lupo sollevò il muso, i suoi occhi scuri brillarono di felicità. Spazzò l’erba con la coda e mugolò.

Luce lo raggiunse e si appollaiò al suo fianco.

Per quanto tempo aveva atteso quel momento? Non se lo ricordava più.

Vissero nel bosco, uniti più che mai, maledetti da un’oscura Fortuna.

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